sabato 20 agosto 2011

Funerali

Sono al terzo funerale dell'anno. Ieri, con un caldo pazzesco vestita di nero nemmeno fossi l'amica newyorkese della defunta. Ho scoperto, in questi funerali che ho vissuto, che non si usa più vestirsi di nero ai funerali. C'era addirittura un signore con camicia hawaiana e pantaloni rossi, il che onestamente, pur in una concezione casual-postmoderna di funerale mi è sembrato un attimo eccessivo. Ma questi sono commenti da comare che servono solo a sdrammatizzare il tutto e a prendere un pochino le distanze dal dolore.Come il fatto, sottolineato da qualcuno con secondo me poco tatto, che la funzione sia stata celebrata da un prete di colore "lasciato a risolvere i problemi in quanto negro, perchè gli altri sono andati tutti in vacanza". La sua presenza ha donato qualche sfumatura surreale alla cerimonia visti i suoi evidenti problemi linguistici. La defunta Luigia è stata chiamata più volte "Lucia", ma anche definita spesso la "nostra fratella", senza parlare dell'affanosa ricerca delle chiavi del tabernacolo e dall'imbarazzato tentativo di capire in quale senso tenere il foglio che conteneva la formula per la chiusura del rito. Insomma, mancava solo una tromba al povero malcapitato per essere un perfetto mimo di Louis Armstrong o un paio di pantaloni pezzati per emulare le gesta di Giovanni Vernia.
Uscendo dal ritrattino caratterizzante, posso dire che almeno ieri è stato il funerale di una persona anziana. Dopo i cari amici che se ne sono andati quest'anno, ho dato l'ultimo saluto a una donna che, nel bene e nel male la sua vita l'ha vissuta tutta. Quello che dispiace è vedere come sta chi rimane, che spesso, oltre il dolore deve affrontare la grettezza dei parenti. O forse meglio dire degli sciacalli. Sono rimasta veramente senza parole di fronte a certe scene, ma raccontarle è inutile. Alcune persone vanno lasciate nella loro pochezza.
Mi si è stretto il cuore a vederla seppellire sotto il figlio, morto trentenne in un incidente senza colpa, proprio come Fabio. Seppur non fosse una persona a me vicina, ho avuto anch'io la mia dose di dolore. Sia nel ricordo di Fabio e Alessandra, che nel vedere suo figlio, che è anche il mio patrigno, o meglio il mio unico vero padre, circondato da iene che non rispettavano nemmeno il momento della sepoltura, sia nel constatare la non curanza di alcune persone a me vicine.

In quest'anno di lutti ho imparato che alcune persone preferiscono sfuggire al dolore anzichè affrontarlo, con dignità, ma affrontarlo. Non sia mai che tu e il tuo lutto roviniate qualche festa o compleanno o serata del festival di sta cimpa. Per me non è così, non è che perchè tu sei vivo devi dimenticarti di chi non c'è più, non stare vicino a familiari e amici, non onorare la memoria di chi ci ha lasciati un po' più soli e un po' più malinconici, ma anche più consapevoli che questo poco tempo che abbiamo vale la pena viverlo bene, accompagnandosi con persone di valore.

Ho imparato che "se hai bisogno ci sono" e "ci sono" sono due atteggiamenti molto diversi. E se il primo è spesso un proforma, il secondo può fare la differenza. Ho imparato che si deve essere discreti e partecipi, senza l'arroganza di sapere quale sia la cosa migliore da fare. Senza scaricare il barile sugli altri perchè noi non sappiamo gestirlo. Ognuno ha la sua dose di dolore, personale o riflesso, e lo gestisce come riesce. Gli standard poi sono molto diversi, ma gli standard si sa, sono sempre molto diversi.