sabato 31 dicembre 2011

New Year's Eve

Siamo quasi a Capodanno. Chi mi conosce lo sa, il mio massimo desiderio per questo Capodanno era trascorrerlo in tuta sul divano con cena da asporto. Addormentandomi anche prima della mezzanotte, l'importante è dormire. Perchè si sa, quando uno è stanco è stanco e quando uno desidera solitudine e pace, desidera solitudine e pace. Tuttavia, mentre sono intenta a combattere una guerra senza speranza contro due dei miei nemici giurati, il cui nome inizia per "p", ovvero: peli e polvere, mi sorprendo a fare un proposito per l'anno nuovo, uscendo per un momento dal mio nichilismo.
Il proposito è il seguente (e c'è anche una discreta serietà in esso): iniziare meno frasi con le espressioni "se potessi scegliere", "se potessi fare come voglio", "se fossi libera di fare come voglio". Mi auguro quindi un 2012 in cui io mi senta libera di scegliere cosa più desidero dato che sono l'unica che si impedisce di farlo.

E alla fine sì, sono anche contenta, dopo questo triste e luttuoso 2011, di passare questa serata con 3 delle persone a me più care in assoluto.

Buon anno, in generale.


giovedì 15 dicembre 2011

Ermetismo.

Mi manchi.



5 euro l'ora.

Dopo la tragedia di Trieste, che sottolineo è una tragedia, ovvero un ragazzo non dovrebbe morire così e con i lutti che ho vissuto quest'anno non lo dico a caso, ecco dopo la tragedia di Trieste sento riecheggiare il "per 5 euro l'ora". Come se il fatto che quel ragazzo addetto al montaggio del palco di Jovanotti lavorasse per 5 euro l'ora rendesse tutto più tragico e inaccettabile.

Ora io non lo so dove vivano quelli che si scandalizzano per i 5 euro l'ora. Perchè onestamente, a oggi chi prende 5 euro l'ora si sente generalmente più fortunato di molti altri che lavorano per molto meno, che lavorano a gratis, che cercano lavoro e non lo trovano. E hanno una bellissima pergamena di laurea lì sulla scrivania e la spolverano per bene avendo la sensazione che se stessero riponendo un album di figurine sarebbe più o meno la stessa cosa. Un cimelio, un ricordo, qualcosa appartenuto a un tempo lontano in cui eri pieno di speranze e aspettative e sogni e poi sei cresciuto e hai capito che i sogni li lasci a quelle poche ore in cui ormai riesci a dormire.

La verità è che ci sono molte persone, molti giovani che lavorano per meno di 5 euro l'ora. Che sentono la gente incazzata per le pensioni e si chiedono timidamente nel loro io interiore "ma io i contributi quando inizierò a versarli tra uno stage e l'altro? E in pensione io, ci andrò mai?". Poi non dicono niente perchè per carità, riconoscono che non è giusto che chi ha lavorato per una vita sia ridotto a vivere di stenti, contando il centesimo. Non puoi dire che sia giusto o che sia più fortunato di te, che almeno sei giovane e potresti anche a un certo punto fare le valigie, mandare tutti a stendere e andartene in centro Africa con qualche missione e tanti saluti.

Ecco potresti. Ciò non toglie che la sensazione che siamo un po' tutti, chi più chi meno, nella stessa merda permane.

sabato 10 dicembre 2011

Felicità.

Ascolto La canzone del padre di De Andrè che mi riporta alla mente frammenti di una bellissima estate, fatta di sorrisi, giornate pigre, colline, spiagge, il calore del sole e quello della presenza degli amici. Gli amici veri, quelli con cui essere te stesso è inevitabile, così come comprendersi con uno sguardo. L'inverno è sempre diverso. C'è meno luce, meno tempo, meno voglia. In generale. C'è meno gioia nel vivere. Devo avere un bioritmo rigidamente legato alle stagioni.

Oggi mi chiedo che cosa rende una persona felice. Certo, non si può essere sempre felici, solo un vero cretino può essere sempre felice, sereni, ma sereni è un altro discorso... Parliamo di felicità invece. Che cosa rende una persona felice? Che cosa le appaga l'animo fino al momento in cui questo si dischiude improvvisamente in un sorriso contagioso che dallo spirito si esprime sulle labbra? Io so che la presenza di alcune persone mi rende felice. Che il solo vederle provoca in me un sorriso così ampio e completo che mi fanno male gli zigomi. Però quelli sono momenti, poi le persone se ne vanno e quel sorriso dovrebbe rimanere dentro. E per un po' ci rimane, ma non basta. Non bastano gli altri. Come non bastano le sorprese gradite a renderci felici.

Probabilmente per essere felici bisogna seguire la propria natura, saper nutrire e appagare i propri desideri. Ma non è facile come sembra. Perchè per farlo ci vuole tempo, che sempre sembra mancare, e ci vuole convinzione, autoconsapevolezza. Se non sai cosa vuoi, cosa desideri, se sei confuso, hai maggiore possibilità di essere infelice. E una vita infelice è davvero molto triste, anche quando non lo condividi con nessuno. Perchè a volte uno non ne parla della propria infelicità, per non tediare gli altri, per una sorta di timoroso rispetto della loro serenità. Però anche se non ne parli l'infelicità rimane e ti rende ogni giorno più simile a un automa.

mercoledì 14 settembre 2011

Frammenti

Facebook mi ricorda che in un certo giorno, non si sa quale, del 2009 "Non ero convinta". Chissà che cosa non mi convinceva...

Oggi sono convinta che accada che non butti via un kleenex stracciato nella borsa perchè ti ricorda qualcosa. Anche un frammento sfilacciato di fazzoletto può ricordare qualcosa.

E questo al momento è tutto quello che ho da dire, perchè è stata una giornata intensa, ricca di parole, in realtà ridondante di parole e ora basta, è il tempo del silenzio. E' il tempo di pensare che al mare leggevo di più, sorridevo di più, dormivo di più. Insomma al mare ero una persona migliore.

domenica 11 settembre 2011

Commuoversi alla Feltrinelli.

Ieri pomeriggio è stato uno dei migliori pomeriggi della mia vita. E come spesso accade è nato da qualcosa di molto semplice. Non è necessario strafare per provare benessere. Su questo concetto dovrei aprire mille parentesi riguardo alla nostra attuale società e quant'altro ma le lascio per un altro momento. Tornando a ieri... ieri pomeriggio ho accompagnato un mio amico alla ricerca di regali per la fidanzata. Prima siamo andati in un negozio di abbigliamento assolutamente delizioso, Camera 17, dove mi sono prestata a fare la modella per azzeccare la taglia di una maglia che si sa... se la tua base è a Oslo, tornare a cambiare una maglia a Torino presenta le sue difficoltà. E fare la modella è sempre gratificante quindi una si presta anche volentieri. Compiuta la missione maglia abbiamo passeggiato per via Roma, siamo entrati in vari negozi, abbiamo chiacchierato e riso tanto, davvero tanto. Siamo poi finiti alla Feltrinelli perchè lui, dopo averle comprato i cioccolatini, era alla ricerca di un libro per aiutarla a migliorare il suo italiano. E lì è successo, lì mi sono commossa. Di sabato pomeriggio nella libreria affollata, di fronte alla scala mi si sono velati gli occhi di lacrime ed è iniziato un pianto sussurrato. Il mio amico, che sa, come dimostrato test scientifici, che abbracciare una persona che sta per diventare qualcosa di molto simile alla fontana di Trevi rischia di innescare appunto lo scoppio del pianto a dirotto mi ha prontamente messo una mano sulla spalla per rassicurarmi, mentre io mi scusavo ma mi aveva proprio fatto commuovere. Mi sono commossa perchè ho davvero visto l'essenza dell'amore. Il desiderio di rendere la persona che ami felice, di soddisfare i suoi desideri, di prestare attenzione alle sue esigenze, dedicandole un intero pomeriggio dopo aver osservato, pensato e capito che cosa la rende felice. E adoperandoti perchè questo accada. Così sì, mi sono commossa a vedere tutto questo, a vedere un amore maturo, adulto, autentico, che non ha bisogno di giochini, mezze verità o sterili bugie. E mi sono rammaricata nel guardare me stessa e nel vedere tutto ciò che mi sono fatta mancare. Noi donne siamo stupide, pensiamo che le briciole possano essere abbastanza ma le briciole bastano per le formiche e noi non siamo formiche. Per quanto possiamo dimagrire e ridurci pelle e ossa in nome di una società che ci vuole magre a ogni costo, saremo sempre più grandi delle formiche.

Questa sera nello spettacolo teatrale che ho visto ho sentito una frase che ben sintetizza i meccanismi che regolano molte coppie, la frase più o meno era questa: "Lui si comporta sempre da stronzo, poi una volta fa un sorriso e sembra sia avvenuta la moltiplicazione dei pani e dei pesci". Già. E una è cretina e si aggrappa a quel sorriso senza calcolare tutto ciò che circonda quel sorriso. Non credo che gli altri ti trattino bene perchè tu li tratti di merda. Insomma, credo che il vecchio adagio "in amor vince chi fugge" sia vero solo fino ai 17 anni in generale e poi resti vero solo per chi ha una forte componente autolesionista. Se una persona non c'è mai emotivamente, non si prende cura di te, non ti illumina i giorni, non ha senso che stia nella tua vita. Credo invece che alcune cose, quelle belle, avvengono quando pensi di meritartele. Quando la tua autostima è a un livello sufficiente da permetterti di capire che non sei una formica.

La serenità è qualcosa che riguarda noi stessi, la nostra interiorità, il nostro equilibrio e non dovrebbe abbandonarci mai, ma la felicità è un'altra cosa. Per quella che è la mia esperienza la felicità nasce dalla condivisione, è difficile che tu sia felice quando sei da solo, puoi essere sereno, in pace con te stesso, contento della tua esistenza e grato ma la felicità la vivi con gli altri. Credo che ci siano poche cose belle come rendere felice chi ami, vedere che un tuo gesto gli illumina gli occhi, vedere il tuo amore riflesso nei suoi. Non c'è niente di più bello di donare se stessi, la propria attenzione, la propria cura al prossimo. E perchè questo accada, perchè qualcuno ci doni se stesso, bisogna davvero pensare di meritarselo.

Ringrazio il mio amico per ciò che mi ha mostrato, per avermi regalato un attimo di commozione e di autentica consapevolezza alla Feltrinelli. Dove una volta c'era Ricordi, ci tengo a sottolinearlo.

sabato 3 settembre 2011

Quando

Quando ti si apre il latte detergente nella borsetta capisci che l'unica legge a cui no, non si può proprio sfuggire, che non può essere aggirata in nessun modo è quella di Murphy.

Quando vedi delle sessantenni in spiaggia in topless l'unica cosa che puoi pensare è: Inaccettabile. Proprio come se fossi John Cage di Ally McBeal: totalmente inaccettabile.

Quando inizia a mandare a quel paese le persone quando se lo meritano hai fatto dei progressi. Grandi progressi.

Quando qualcuno ti spezza il cuore e non chiede nemmeno scusa non fa una cosa bella.

giovedì 1 settembre 2011

Silenzi

Ultimamente parlo sempre meno. Io che di solito sono logorroica. Però parlo di meno. E parlo di meno per alcune ragioni, di cui probabilmente non può fregare di meno a nessuno ma che comunque esporrò perchè parlo di meno ma scrivo di più. Non si può smettere tutto.

Parlo di meno perchè quando ti metti a spiegare una cosa, molto spesso, devi raccontare non solo i fatti, ma anche gli antefatti, i postfatti, talvolta gli strafatti nonchè i corollari. Ciò è noioso. Per chi deve raccontare ma soprattutto per chi ascolta. Tanto alla fine l'essenza delle cose è una, non servono diecimila parole di contorno. Credo sia invece più utile distinguere tra persone che ti capiscono e persone che non ti capiscono. Con le prime poche parole bastano per andare in profondità e instaurare una piacevole condivisione, con le seconde è assolutamente inutile interloquire. A meno che uno non ami la frustrazione, allora sì, discutete pure all'infinito con chi ha una visione del mondo opposta alla vostra. Non dico che il confronto con punti di vista diversi non sia sano, stimolante, arricchente, per carità. Ma TROPPO diversi, allora sì, alla fine diventa un parlarsi addosso. Scappare dal parlarsi addosso, scappare sempre.

Parlo di meno perchè per anni ho fatto una fatica immane in varie occasioni sociali in cui nessuno spiccicava verbo a trovare argomenti di conversazione che potessero coinvolgere tutti. Gli altri pensano tu sia egocentrica e non si rendono conto della fatica che in realtà stai facendo perchè non si crei una situazione di mutismo globale che imbarazza e tedia tutti. A me piace ascoltare, mi piace sentire quello che gli altri hanno da dire, ed è diecimila volte più rilassante che non preoccuparsi di tirar fuori un argomento x. Quindi, anche in quelle situazioni, ogni tanto ora lascio che si crei il silenzio. Sembrerò più scortese di prima ma amen, è tempo che anche gli altri imparino a comunicare.

Parlo di meno perchè se parli di meno riesci a osservare ciò che hai dentro, intorno e di fronte con più attenzione. E osservare è importante. Conosco pochi buoni osservatori e li stimo molto. Hanno la capacità di fare e dire la cosa giusta al momento giusto non perchè siano supereroi ma perchè appunto, raccolgono molti più dati delle altre persone e sanno farne poi buon uso.

In buona sostanza ultimamente mi piace molto stare con persone che parlano, comunicano, il giusto e l'interessante, e ascoltarle, concentrarmi su di loro anzichè su di me, imparare e vivere cose nuove che non potrei vivere se non attraverso loro, interrogarmi su situazioni che senza di loro probabilmente non prenderei minimamente in considerazione.

Per questo voglio ringraziare una persona che recentemente si è aperta con me, che mi ha aperto la sua interiorità con naturalezza e con onestà, che mi ha permesso di entrare un po' nel suo mondo, di riconoscermi in alcune cose e di prendere le distanze da altre. Non ci è voluto molto, è bastata una panchina di fronte al mare e la voglia di raccontarsi a vicenda, il piacere di ascoltarsi a vicenda.

In altre situazioni invece questa magica alchimia non si crea. E allora sì, la scelta migliore per me non è il chiacchiericcio superficiale, l'elogio del più e del meno, ma il silenzio. Perchè i silenzi, nel loro drammatico ermetismo spesso esprimono molto più delle parole, è un concetto banale ma non per questo meno vero. Un silenzio può essere intimità così profonda che non ha bisogno di parole, ma anche distanza così incolmabile che nessuna forma di dialogo o monologo sarebbe comunque appropriata o utile per accorciare quella distanza. Si tace, e nel mentre, si osserva.

sabato 20 agosto 2011

Funerali

Sono al terzo funerale dell'anno. Ieri, con un caldo pazzesco vestita di nero nemmeno fossi l'amica newyorkese della defunta. Ho scoperto, in questi funerali che ho vissuto, che non si usa più vestirsi di nero ai funerali. C'era addirittura un signore con camicia hawaiana e pantaloni rossi, il che onestamente, pur in una concezione casual-postmoderna di funerale mi è sembrato un attimo eccessivo. Ma questi sono commenti da comare che servono solo a sdrammatizzare il tutto e a prendere un pochino le distanze dal dolore.Come il fatto, sottolineato da qualcuno con secondo me poco tatto, che la funzione sia stata celebrata da un prete di colore "lasciato a risolvere i problemi in quanto negro, perchè gli altri sono andati tutti in vacanza". La sua presenza ha donato qualche sfumatura surreale alla cerimonia visti i suoi evidenti problemi linguistici. La defunta Luigia è stata chiamata più volte "Lucia", ma anche definita spesso la "nostra fratella", senza parlare dell'affanosa ricerca delle chiavi del tabernacolo e dall'imbarazzato tentativo di capire in quale senso tenere il foglio che conteneva la formula per la chiusura del rito. Insomma, mancava solo una tromba al povero malcapitato per essere un perfetto mimo di Louis Armstrong o un paio di pantaloni pezzati per emulare le gesta di Giovanni Vernia.
Uscendo dal ritrattino caratterizzante, posso dire che almeno ieri è stato il funerale di una persona anziana. Dopo i cari amici che se ne sono andati quest'anno, ho dato l'ultimo saluto a una donna che, nel bene e nel male la sua vita l'ha vissuta tutta. Quello che dispiace è vedere come sta chi rimane, che spesso, oltre il dolore deve affrontare la grettezza dei parenti. O forse meglio dire degli sciacalli. Sono rimasta veramente senza parole di fronte a certe scene, ma raccontarle è inutile. Alcune persone vanno lasciate nella loro pochezza.
Mi si è stretto il cuore a vederla seppellire sotto il figlio, morto trentenne in un incidente senza colpa, proprio come Fabio. Seppur non fosse una persona a me vicina, ho avuto anch'io la mia dose di dolore. Sia nel ricordo di Fabio e Alessandra, che nel vedere suo figlio, che è anche il mio patrigno, o meglio il mio unico vero padre, circondato da iene che non rispettavano nemmeno il momento della sepoltura, sia nel constatare la non curanza di alcune persone a me vicine.

In quest'anno di lutti ho imparato che alcune persone preferiscono sfuggire al dolore anzichè affrontarlo, con dignità, ma affrontarlo. Non sia mai che tu e il tuo lutto roviniate qualche festa o compleanno o serata del festival di sta cimpa. Per me non è così, non è che perchè tu sei vivo devi dimenticarti di chi non c'è più, non stare vicino a familiari e amici, non onorare la memoria di chi ci ha lasciati un po' più soli e un po' più malinconici, ma anche più consapevoli che questo poco tempo che abbiamo vale la pena viverlo bene, accompagnandosi con persone di valore.

Ho imparato che "se hai bisogno ci sono" e "ci sono" sono due atteggiamenti molto diversi. E se il primo è spesso un proforma, il secondo può fare la differenza. Ho imparato che si deve essere discreti e partecipi, senza l'arroganza di sapere quale sia la cosa migliore da fare. Senza scaricare il barile sugli altri perchè noi non sappiamo gestirlo. Ognuno ha la sua dose di dolore, personale o riflesso, e lo gestisce come riesce. Gli standard poi sono molto diversi, ma gli standard si sa, sono sempre molto diversi.

mercoledì 20 aprile 2011

Scelte, coerenza, tempo.

Nella vita si fanno delle scelte. E ci insegnano che se si è coerenti con le proprie scelte si sta bene con se stessi. E ci dicono anche che non scegliere è essa stessa una scelta. Su questa seconda parte sono d'accordo ma sulla prima no.

E' vero che quando si è coerenti con se stessi si hanno maggiori possibilità di essere felici, come se non si dicono bugie si ha meno probabilità di vivere nella paura e nel rimorso. E' vero, ma non è sempre così. A volte si fa una scelta che sia coerente con il proprio stile di vita, con le decisioni prese in precedenza e nonostante ciò non si è felici. Perchè per essere coerenti, per non sentirsi in colpa, si sta rinunciando a un desiderio, a un'idea, a una possibilità che abbiamo deciso di precluderci perchè mutare direzione significherebbe cambiare, abbandonare le proprie certezze che si sono fatte piccole, strette e anguste ma restano pur sempre rassicuranti. Siamo esseri abitudinari, è questa la triste realtà. E il nostro amore per l'abitudine ci rende ciechi verso ciò a cui stiamo rinunciando per che cosa? Per mantenere in piedi che cosa? Un castello di carta?

A volte mi sembra davvero di lottare con le unghie e con i denti per difendere qualcosa che esiste solo nella mia testa, che è soddisfacente solo nella mia testa, perchè se mi chiedo con onestà se sono felice, se ciò che ho è quello che voglio, in questo momento in tutta sincerità non posso rispondere "sì". Sono piena di dubbi e di confusione, di idee intrappolate che non hanno il coraggio di diventare reali. Perchè io non le lascio diventare reali, in modo da restare coerente con quello che ho stabilito in precedenza.

Non sono mai stata brava a fingere, e non sono nemmeno mai stata paziente. La saggia frase "dai tempo al tempo" purtroppo non caratterizza la mia esistenza. Io non riesco a fingere gioia quando non la provo, nè soddisfazione quando questa manca. E ormai mi avvicino a un'età in cui sembra che i compromessi siano qualcosa di inevitabile, che i sogni dell'adolescenza non si realizzeranno mai e la realtà è qualcosa di ben diverso rispetto a quello che avevo immaginato. Però c'è una parte di me che non si arrende. Che non accetta la routine e le mezze felicità. Non riesco a convincermi che questo sia davvero il meglio a cui posso aspirare. Mi sembra che ci sia qualcosa di infinitamente più grande e appagante a cui aspirare rispetto a quello che sto vivendo adesso. Eppure resto dove sono. E non sono felice. E sono coerente ma non sono felice, perchè mi manca ancora quel coraggio necessario a cambiare le cose, cambiarle sul serio anche se significa perdere quel castello di carta e ricominciare da zero. Questa è proprio una di quelle situazioni in cui bisognerebbe dare tempo al tempo...

giovedì 14 aprile 2011

Hasta siempre comandante

Questa sera, quello che sento è solitudine e tristezza. Tanta solitudine e tanta tristezza. E ascolto Chris Isaac che canta Wicked Game e vorrei stare un po' dentro quella canzone e basta, e non sentire niente, non sentire mancanze, desideri, necessità, sentire le note e basta.

Essere considerati forti ha i suoi lati negativi. Gli altri pensano sempre che tu ce la faccia, che vada benissimo così, che ti passerà la malinconia, che non è granchè. E tu anzichè chiedere aiuto fai finta che sia tutto a posto, che vada tutto bene, perchè non vuoi essere quella che ne ha sempre una, che si lamenta, che non è felice. Che poi ti impunti, come una bambina di 3 anni e dici: "ok, se non ci arrivano da soli a capire che ho bisogno di conforto non mi metto certo a spiegarglielo io."

Così tu non spieghi, non dici. Ma alla fine, ha davvero senso spiegare l'ovvio? Si devono davvero spendere delle energie per spiegare cose che per noi sono più che ovvie? Mi sento tanto stanca, stanca dentro e profondamente scoraggiata. Forse sono io che non sono in grado di trasmettere i miei stati d'animo, che non sono efficace nella comunicazione, sono io che sbaglio.

E' stata una giornata dura, dire addio a Fabio, guardare quella cassa che conteneva il mio amico, quella chiesa che non riusciva a contenere tutta la folla di persone che aveva condiviso una parte della propria vita con un ragazzo così stupendo. Pensare che lui era lì, dentro quella cassa con il corpo ma sperare e pregare profondamente che la sua anima non fosse andata persa, che non fosse morta con il corpo e che sarebbe ritornata su questa terra splendida almeno quanto prima. Oh Fabio, che persona che eri! E io vorrei tanto in questo momento condividere il mio dolore con qualcuno che mi abbracci e stia in silenzio insieme a me, che asciughi le mie lacrime, invece sono qui a pensarti da sola, pensare a te solo a tua volta in quel cimitero con il vento freddo che sferza la valle. Non ho parole per esprimere come mi sento, il vuoto che sento, quanto mi sento sola nel profondo. Vorrei poterti chiamare e chiederti se facciamo un salto al Bibe, a fare due chiacchiere. E invece non posso farlo. Mi mancherai amico mio, mi manchi e continuerai a mancarmi e continuerò a pensare al tempo che avrei potuto passare insieme a te e invece non l'ho fatto. Una cosa me l'hai insegnata, la vita è troppo breve per essere infelici. Hasta siempre Fabietto.